HomeAlzheimer, Demenze e Malattie NeurodegenerativeSETTIMANA DEL CERVELLO, ULTIME NOVITÀ DIAGNOSTICHE E TERAPEUTICHE SU ICTUS E ALZHEIMER

SETTIMANA DEL CERVELLO, ULTIME NOVITÀ DIAGNOSTICHE E TERAPEUTICHE SU ICTUS E ALZHEIMER

“Non c’è muscolo senza cervello” è il tema dell’edizione 2018 della ‘Settimana mondiale del cervello’ attualmente in corso (12-18 marzo), campagna di sensibilizzazione – promossa in Italia dalla Sin (Società italiana di neurologia) – che prevede numerose iniziative per informare la popolazione sulle malattie che possono compromettere il funzionamento del cervello e che colpiscono, solo nel nostro Paese, circa 5 milioni di persone. «Se è noto che i nervi e i muscoli dipendono per la loro funzione dagli impulsi del sistema nervoso centrale (Snc)» ha ricordato a Milano nel corso della presentazione dell’iniziativa Gianluigi Mancardi, presidente Sin e direttore Clinica neurologica Università di Genova «è anche vero che i nervi e i muscoli influenzano il Snc fornendo segnali e sostanze nutritive ai neuroni del midollo spinale e contribuendo, attraverso l’esercizio muscolare e l’allenamento, a inviare segnali positivi di sopravvivenza ai neuroni». Cambia così la prospettiva sotto cui si guardano patologie come la malattia di Alzheimer (AD) e l’ictus ischemico, di cui hanno parlato rispettivamente Stefano Cappa- ordinario di Neurologia, Scuola universitaria superiore di Pavia – e Danilo Toni- associato in Neurologia, direttore Unità di trattamento neurovascolare Policlinico Umberto I di Roma. «In caso di AD, le capacità motorie dei pazienti rimangono intatte e la regola “non c’è muscolo senza cervello” sta però a sottolineare l’importanza dell’attività fisica per il mantenimento delle capacità cognitive» precisa Cappa. Da un lavoro pubblicato su una rivista internazionale da un giovane ricercatore italiano, spiega, emerge infatti come l’esercizio fisico, insieme ad altri corretti stili di vita (alimentazione, qualità del sonno) incidano in senso preventivo agendo su comuni fattori di rischio vascolare sovrapponibili a quelli di altre demenze. Cappa cita altri due studi di giovani neurologi italiani, in termini di potenziale premesse per lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche. Nel primo è stata rilevata una relazione – ma non un rapporto causale, si sottolinea – tra microbiota intestinale e AD. «Esaminando la flora batterica intestinale di pazienti con AD» riferisce il neurologo «si è osservata una riduzione dei ceppi batterici ad attività antinfiammatoria rispetto a quelli ad attività infiammatoria, rilevata anche a livello ematico. È un dato interessante da un punto di vista terapeutico, quanto meno sintomatico».
L’altro lavoro, continua, evidenzia l’importanza di una diagnosi precoce e precisa in quanto, se si testano farmaci sperimentali in pazienti non correttamente diagnosticati oppure in fase troppo avanzata di AD, si rischia di vanificare il lavoro di anni. «Il gruppo di Brescia ha conseguito un significativo risultato in termini di selezione di pazienti dimostrando come sia possibile, impiegando un metodo molto semplice quale la stimolazione magnetica transcranica e la valutazione degli indici neurofisiologici ottenuti, effettuare una diagnosi differenziale tra AD e demenza fronto-temporale (la forma più frequente soprattutto in età giovanile), che di solito richiede esami costosi e complessi». Lo specialista cita infine due recenti lavori internazionali rilevanti sotto il profilo diagnostico e con un forte impatto potenziale sullo sviluppo di nuove terapie. «È stata individuato la struttura molecolare di due tipi di tau fosforilata che si accumulano nel cervello dei pazienti con AD. Ciò permetterà di sviluppare nuovi traccianti per la tomografia a emissione di positroni (Pet) al fine di evidenziare in vivo la presenza della proteina patologica nelle primissime fasi della malattia o anche in pazienti asintomatici». L’altro sviluppo è la messa a punto da parte di ricercatori australiani di un test – molto specifico e sensibile ed eseguibile su semplice campione di sangue – in grado di dimostrare l’accumulo di amiloide cerebrale (uno dei marcatori di AD) con un’affidabilità pari a quella di esami costosi o non disponibili ubiquitariamente (quale la Pet per la rilevazione in vivo di beta-amiloide) o piuttosto invasivi e non impiegabile in screening (come l’esame del liquor che richiede una puntura lombare). «L’apparecchiatura per l’analisi del campione ematico, tecnologicamente complessa, è costosa ma evidentemente renderebbe più semplice una diagnosi precoce ed è presumibile che nel giro di qualche mese possa essere resa disponibile in qualche centro in Italia» conclude Cappa.
Evidente la stretta correlazione tra cervello e apparato neuromuscolare in caso di ictus ischemico (terza causa di morte in Italia) quando è coinvolta la corteccia motoria. Assumono quindi grande rilievo i recenti avanzamenti nel trattamento dello stroke, riferiti da Danilo Toni, e riassumibili in un ampliamento della finestra terapeutica per l’asportazione meccanica per via endovascolare del trombo occorrente. Dopo la trombolisi intravenosa con attivatore del plasminogeno tissutale ricombinante (rt-PA) usata dalla fine degli anni ’90, con l’avvento della trombectomia dal 2015 in poi si era definita una finestra terapeutica ottimale per il trattamento in media di 5-6 ore, ricorda l’esperto. «Tuttavia» aggiunge «da diversi anni era apparso evidente che la durata media di tale ‘finestra’ era un’astrazione statistica e che era possibile individuare pazienti con finestre temporali più ampie, anche di diverse ore. Si è passati così al concetto di ‘finestra di opportunità terapeutica individuale’ legata all’efficienza dei circoli collaterali che apportano sangue alle aree di penombra ischemica, aree cioè compatibili con la sopravvivenza (al contrario del core ischemico) ma non con la normale funzionalità». Due trial (denominati ‘Dawn’ e ‘Defuse 3’), pubblicati a gennaio e a febbraio sul “New England” ed entrambi condotti su pazienti con occlusione della carotide interna o dell’arteria cerebrale media prossimale, riferisce il neurologo, hanno dimostrato l’efficacia della trombectomia fino a 16-24 ore dal teorico esordio dell’ictus nel consentire un recupero funzionale fino a 3 mesi dal trattamento, a fronte di un rischio di complicanze emorragiche e mortalità comparabile a quello del trattamento standard. «La selezione dei possibili candidati al trattamento» precisa «richiede comunque il ricorso a tecniche avanzate di neuroimaging come la Tc di perfusione o la Rm con sequenze in diffusione e perfusione e il calcolo dei volumi lesionali e delle aree di ipoperfusione attraverso software automatizzati».
Da citare, proprio su questi temi, il sostegno dato all’iniziativa Sin da Alice Italia onlus, da sempre impegnata – tra le molteplici attività – a informare la popolazione sul riconoscimento precoce dei sintomi. «Si registra un progresso costante in campo diagnostico e terapeutico» scrive in un comunicato Nicoletta Reale, presidente della federazione di associazioni di volontariato. Peraltro, sottolinea, «il nostro Paese vive di differenze anche molto significative tra regione e regione, soprattutto tra Nord e Sud: un esempio tra tutti è ancora oggi costituito dalla disomogenea distribuzione delle Unità Neurovascolari (Stroke Unit)sul territorio nazionale, nonostante le precise direttive ministeriali contenute nel Decreton.70/2015».
Arturo Zenorini
Iniziative Sin sul territorio nazionale nel corso della Settimana mondiale del cervello
www.neuro.it

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